Una comparazione tra due istituti considerati analoghi, il trust e il fondo patrimoniale: oltre le analogie, esistono profonde differenze.
La caratteristica della segregazione del patrimonio che connota il trust fa sì che spesso tale istituto sia accostato ad altri che sono caratterizzati da questo medesimo elemento.
E’ così per il fondo patrimoniale, a proposito del quale si parla di patrimonio separato inteso quale distinta entità unitaria avente una specifica destinazione per una determinata finalità, che fa sì che esso non possa essere utilizzato a fini diversi dalla destinazione unitaria stessa.
La separazione del patrimonio presuppone, pertanto, una amministrazione separata, con conseguente limitazione di responsabilità dei beni che fanno parte del patrimonio separato, i quali sono destinati esclusivamente alla soddisfazione di obbligazioni strettamente collegate alla specifica destinazione con la conseguenza che una particolare garanzia viene riconosciuta ad una particolare categoria di creditori.
Il concetto di separazione patrimoniale ricorre in vari articoli della già citata Convenzione dell’Aja (art.2. II co., lettera a; art.11, II co.) ed entrambi gli istituti prevedono nella loro configurazione un primo negozio istitutivo ed un distinto negozio di trasferimento.
Gli effetti tipici derivanti dal negozio istitutivo del trust sono quelli previsti dall’art.11 dalla Convenzione dell’Aja, dopo di che ogni trust ha un suo scopo individuale e i suoi unici limiti consistono nell’essere possibile e lecito.
Nel fondo patrimoniale, invece, il negozio istitutivo si concretizza con l’imposizione ai beni del vincolo di destinazione, che costituisce l’elemento caratterizzante ed indispensabile.
E’ lo stesso legislatore che stabilisce la destinazione che giustifica la separazione patrimoniale, mentre nel trust è il disponente a decidere, nell’atto istitutivo, la destinazione dei beni.
Questo rappresenta una sensibile differenza fra i due istituti: il fondo patrimoniale è più rigido mentre il trust è più duttile e pertanto si adatta meglio a soddisfare, anche da un punto di vista pratico, esigenze che il fondo patrimoniale non riesce a soddisfare.
Elemento comune ai due istituti è certamente la tutela dei familiari beneficiari, in particolare dei figli, ma l’istituto del fondo patrimoniale si presenta più debole, in base all’attuale disciplina, rispetto all’istituto del trust; e ciò avviene anche sotto l’aspetto della segregazione del patrimonio.
Sotto questo profilo si presentano come punti di debolezza del fondo patrimoniale rispetto al trust la discrezionalità consentita ai coniugi nelle decisioni riguardanti l’amministrazione e la disposizione dei beni costituenti il fondo; l’inesistenza di una norma che preveda un obbligo di reimpiego (l’art.170 c.c. lo prevede per il patrimonio familiare); la mancanza di un meccanismo surrogatorio (anche se negli ultimi tempi esso viene affermato in giurisprudenza); l’inesistenza di un rimedio certo applicabile nella ipotesi di cattiva amministrazione; la esecutabilità dei beni e dei frutti.
Peraltro nella valutazione della convenienza circa l’utilizzo del trust o del fondo patrimoniale risaltano le fisiologiche rigidità del secondo, che non gli consentono di soddisfare molteplici esigenze, mentre il primo istituto, proprio grazie alla sua maggiore duttilità, soffre pochi limiti al suo impiego pratico.
A differenza del trust, poi, il fondo patrimoniale non prevede “beneficiari” in senso tecnico; e pertanto i soggetti a cui favore è stato istituito il fondo, ad esempio i figli, non sono legittimati ad agire nei confronti dei genitori che destinino i frutti dei beni costituiti a finalità non coincidenti con i bisogni della famiglia. Altra sostanziale differenza tra i due istituti consiste nel fatto che i coniugi non sono considerati quali “fiduciari”, per cui in essi può essere confusa la posizione gestoria con quella di proprietà. Infine nel fondo patrimoniale non è previsto che quando esso verrà a cessare i beni debbano essere devoluti ad alcuno dei componenti la famiglia, in particolare ai figli, per cui la tutela della famiglia non appare così perseguita col massimo risultato. Peraltro le incertezze interpretative ancor oggi sussistenti a distanza di 25 anni dall’entrata in vigore di questa lacunosa disciplina legislativa portano a privilegiare l’utilizzo del trust rispetto al fondo patrimoniale.
Come noto, il fondo patrimoniale è disciplinato negli articoli da 167 a 171 c.c. e ha sostituto il patrimonio familiare a seguito della legge di riforma del diritto di famiglia 19 maggio 1975, n.151. Il suo ambito quindi è quello familiare con riferimento alla famiglia legittima. Pertanto non può esservi fondo patrimoniale se non in presenza di matrimonio.
L’art. 167 c.c. individua il fondo patrimoniale come complesso di beni determinati (immobili, mobili registrati, titoli di credito) destinati da uno o entrambi i coniugi – ovvero anche da un terzo – a fare fronte ai bisogni della famiglia.
Pertanto gli elementi strutturali e gli aspetti di inderogabilità che lo caratterizzano sono:
- il fondo patrimoniale trova il suo presupposto indispensabile nella esistenza di una famiglia legittima, che ne costituisce pure la condizione di efficacia;
- il fondo patrimoniale si caratterizza nel vincolo di destinazione imposto ai beni, che rappresenta la sua stessa funzione;
- il fondo patrimoniale può essere costituito da uno o entrambi i coniugi, ovvero da un terzo soggetto estraneo alla famiglia;
- nel fondo patrimoniale possono confluire solo beni immobili, mobili registrati e i titoli di credito vincolati rendendoli nominativi;
- il fondo patrimoniale deve essere costituito necessariamente per atto pubblico quando è formato dai coniugi, mentre se è un terzo che vi provvede è previsto anche il testamento. Allorchè il fondo patrimoniale viene costituito per atto tra vivi esso deve rivestire la forma dell’atto pubblico ricevuto con l’assistenza di due testimoni a pena di nullità (combinato disposto dell’art.167, I co., cc. E dell’art.48, I co., della Legge notarile 16/2/1913 n.89). Si tratta sicuramente di una convenzione matrimoniale;
- i frutti e comunque le utilità derivanti dai beni che costituiscono il fondo devono essere destinati alle necessità della famiglia;
- nella configurazione della legge il fondo patrimoniale comporta la contitolarità in capo ai coniugi dei diritti che lo costituiscono e la parità di quote, con inoltre la applicabilità ad esso delle norme che riguardano l’amministrazione della comunione legale (per gli atti di straordinaria amministrazione se sono figli minori occorre, oltre all’agire congiunto l’autorizzazione giudiziale);
- il limite posto dall’art.170 c.c. alla esecuzione sui beni e sui frutti del fondo;
- la fisiologica temporaneità del fondo patrimoniale, che cessa con il cessare della famiglia, salva la ultrattività prevista, in via eccezionale, dall’art.171 c.c. in presenza di figli minori.
Ma sono essenzialmente altri due aspetti quelli che più connotano il confronto fra i due istituti: si tratta della esistenza della famiglia legittima quale indefettibile presupposto per la stessa esistenza del fondo patrimoniale e della necessaria temporaneità del fondo patrimoniale.
Sotto il primo profilo, va precisato che il fondo patrimoniale presuppone necessariamente la esistenza della famiglia legittima.
Per cui anche se esso può essere costituito prima del matrimonio, la sua efficacia è subordinata alla successiva celebrazione del matrimonio stesso. Analogamente la cessazione del rapporto di coniugio, per qualunque motivo essa si verifichi, fa cessare il fondo patrimoniale, salva l’eccezione contemplata dall’art.171, II° co c.c. quando vi siano figli minori. La conseguenza di ciò è che una persona in stato vedovile, anche in presenza di figli minori, non potrà costituire un fondo patrimoniale perchè l’ultrattività prevista da tale articolo non può in ogni caso essere invocata per consentire la costituzione di un fondo senza la sussitenza del matrimonio. Addirittura la norma citata presuppone che il fondo sia stato costituito in costanza di matrimonio. Anche una persona nubile non può costituire un fondo patrimoniale per provvedere ai bisogni della sua futura famiglia. Per far ciò è necessario che il matrimonio sia prossimo e devono essere note le persone dei nubendi, per cui la mancata indicazione anche di uno solo dei futuri coniugi rende nulla la costituzione del fondo.
A fronte di quanto appena esposto, valgono le opportunità offerte dal trust, che, nelle sue varie forme, potrà ben essere utilizzato per provvedere ai bisogni di una famiglia di fatto; da una persona vedova o nubile, ovvero da un terzo soggetto a favore di persona vedova o nubile e della sua attuale o futura famiglia, prevedendo, se ritenuto opportuno, condizioni sospensive o risolutive. Il trust inoltre potrà essere utilizzato da un soggetto in costanza di matrimonio legittimo, il quale vuole provvedere anche alle esigenze di un’eventuale figlio naturale e della di lui madre.
Infine il trust potrà essere utilizzato da una persona nubile che voglia provvedere alla sua famiglia di origine, oppure da soggetto interessato a tutelare la propria famiglia ‘di fatto’, come nel caso delle coppie conviventi .
Il secondo aspetto fortemente connotante la profonda differenza tra il trust e il fondo patrimoniale è costituito dalla fisiologica temporaneità del fondo patrimoniale. Esso, infatti, in quanto regime matrimoniale non può prescindere dal vincolo coniugale per cui, come detto, il venir meno del vincolo matrimoniale è causa di cessazione della convenzione.
Unica deroga di questa regola è costituita dall’art.171, II co, c.c., secondo cui “se vi sono figli minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio”. Pertanto, l’annullamento, lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio rappresentano le cause di cessazione espressamente previste dalla legge, ritenute, peraltro, tassative.
La tassatività delle cause di cessazione fanno sì che debbano essere considerate nulle le clausole finalizzate ad incidere sulle cause di estinzione: in poche parole, non è possibile introdurne di nuove o escludere quelle normativamente previste.
E ancora una volta viene di attualità, l’utilizzo del trust quale strumento in grado di soddisfare quelle esigenze pratiche che il fondo patrimoniale non è in grado di soddisfare. Infatti, il trust, in mancanza di specifiche clausole che regolamentino cosa succede quando viene meno il vincolo coniugale, rimane assolutamente slegato nel suo periodo di durata dalle vicende coniugali; con la possibilità, peraltro, che il relativo atto istitutivo possa regolamentare l’ipotesi del venir meno della famiglia per le cui esigenze era stato creato, a questo punto individuando i beneficiari finali.
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