Il trust in Italia è stato riconosciuto nell’ordinamento giuridico a decorrere dal 1 gennaio 1992 a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, intervenuta con legge 16 ottobre 1989 n. 364. A seguito di tale normativa possono essere riconosciuti effetti giuridici in Italia al trust costituito secondo la legge di uno Stato nel proprio ordinamento giuridico quale istituto tipico. Sono quindi stati riconosciuti i cosiddetti trust interni ove spesso l’unico elemento di estraneità è la legge straniera che regola il rapporto di trust. Essi sono caratterizzati dal fatto che il disponente, i beneficiari, il gestore del trust ed i beni conferiti in trust sono italiani, mentre la legge regolatrice è quella di uno dei numerosi Stati stranieri che disciplinano il trust.
L’utilizzo di questo istituto si è maggiormente diffuso in Italia nei primi mesi del 2007, da quando la normativa italiana ha finalmente deciso di regolamentare gli aspetti fiscali del trust.
La riforma finanziaria del 2007, modificando l’art. 73 del TUIR, ha inserito il trust tra i soggetti passivi di imposta dell’imposta sul reddito delle società.
La legittimità del trust in Italia è supportata da numerose sentenze emesse dai tribunali italiani di vario grado che riconoscono gli effetti del trust, con particolare riguardo a quello cosiddetto interno, intendendosi per tale il trust che presenta quale unico elemento di estraneità rispetto all’ordinamento italiano la legge regolatrice, che deve essere necessariamente straniera, di solito inglese, stante la mancanza nell’ordinamento italiano di norme specifiche in materia. Per la prima volta in Italia l’istituto è stato preso in considerazione sotto il profilo fiscale dalla legge finanziaria 2007 e da alcune circolari dell’Agenzia delle Entrate, prima fra tutte la n.48/E del 2007, al solo fine di regolamentarne con chiarezza gli aspetti fiscali e tributari.
Infatti nel diritto italiano l’istituto del trust può trovare ampia applicazione per le più varie finalità (gestioni fiduciarie, passaggi generazionali di beni ed aziende familiari, destinazioni di beni a finalità caritatevoli, protezione patrimoniale[3], ecc). I vantaggi sono evidenti soprattutto con riferimento alla flessibilità dell’istituto rispetto ai tradizionali e noti strumenti del diritto italiano nonché ai possibili vantaggi economici. Per questa sua caratteristica il trust ben si presterebbe ad un utilizzo di massa anche in sostituzione di strumenti giuridici più tradizionali e diffusi. Occorre tuttavia evidenziare l’attuale scarsa conoscenza del trust fra i giuristi italiani che non agevola il radicamento dell’istituto e la sua diffusione.
L’effetto principale dell’istituzione di un trust è la segregazione patrimoniale per la quale i beni o diritti conferiti in trust costituiscono un patrimonio separato rispetto al patrimonio del trustee, con l’effetto che gli stessi non possono essere escussi dai creditori del trustee, del disponente e del beneficiario.
Il trust si presta a molteplici utilizzi e diviene uno strumento duttile e dinamico che può essere redatto su misura per ogni diversa richiesta.
La scelta di istituire un trust deve basarsi sulla considerazione che nel nostro ordinamento giuridico non sempre esistono strumenti giuridici che consentono in modo efficace di realizzare interessi meritevoli di tutela.
L‘art. 15, della Convenzione dell’Aja, fa espressamente salvi, tra altri, i limiti posti dalla legge nazionale (ossia dello Stato in cui il trust deve essere riconosciuto) in materia di testamento, di devoluzione dei beni ereditari e dei diritti dei legittimari, così come dei diritti dei creditori. Tale norma di fatto non comporta l’assoluta nullità dell’atto istitutivo di trust, ma solo la disapplicazione della Convenzione nei limiti in cui vengano lesi tali diritti.
Il trust realizza la sua funzione protettiva quando è utilizzato da coloro che non si trovano in situazioni pregresse di debito patologico.